Visitare Monastero Bormida, al confine fra Langa e Monferrato, in Valle Bormida, significa fare letteralmente un tuffo nel medioevo, non solo per via delle sue origini, ma anche per le numerose storie e leggende legate a questo centro al confine della Provincia di Asti.
Anche se non c’è più, il monastero benedettino che ha molto probabilmente rappresentato il primo nucleo forte del grande edificio che oggi riconosciamo come castello, è presente lungo le strade e nelle piazze del paese.
In realtà recentemente gli storici ritengono che non siano stati i monaci benedettini i primi abitanti di quest’area: infatti il culto di Santa Giulia, oggi sempre presente, e di San Desiderio fanno pensare a precedenti insediamenti longobardi instauratisi fra VIII e IX secolo. Ma la storia ci racconta che è stato il marchese del Monferrato Aleramo (personaggio storico, ma ammantato da un’aura di leggenda) a chiamare intorno al 1050 un gruppo di monaci benedettini di San Benigno Canavese per dissodare e seminare le terre incolte e abbandonate anche per via del passaggio dei predoni Saraceni di Frassineto.
L’arrivo dei Benedettini a Monastero rientra in un ampio movimento che ha caratterizzato il territorio del basso Piemonte fra il X e l’XI secolo. Di questo periodo sono i monasteri di Monforte, San Benedetto Belbo, Alba, due a Castino, solo per citarne alcuni. Si tratta di un fenomeno importante per il nostro territorio perché allora era letteralmente disabitato (come testimoniato dal alcuni documenti del tempo), caratterizzato soprattutto da boschi, difficile da difendere. L’ordine monastico dei benedettini ha portato non solo la sua profonda cultura spirituale, ma anche sviluppo materiale grazie al suo credo riassunto nel motto Ora et labora (in latino: Prega e lavora).
Perché i Benedettini dissodavano la terra, seminavano, coltivavano, costruivano. I loro monasteri si sviluppavano velocemente e sviluppavano tutto il territorio circostante, intorno alle loro comunità nascevano centri abitati anche importanti come quello di Monastero Bormida. Oggi probabilmente l’eredità più importante dei monaci a Monastero consiste nel ponte a gobba d’asino che attraversa il Bormida e porta verso il centro storico.
Normalmente siamo abituati a pensare agli antichi romani come grandi architetti, le loro strade, i loro ponti e viadotti, sono giunti fino a noi, hanno sfidato i secoli e molto spesso gli edifici medievali erano costruiti sulle fondamenta degli antichi insediamenti romani, utilizzando materiali di recuperò della precedente civiltà. Il ponte romanico di Monastero Bormida rappresenta una felice eccezione. È lui infatti ad aver sfidato i secoli, giungendo fino a noi ancora percorribile e percorso. Lo hanno costruito i Benedettini come quello dell’Abbazia di San Quintino nella Bormida di Spigno. Quello di Monastero, nel Medioevo era l’unico ponte transitabile tutto l’anno (quindi con qualsiasi tempo), una struttura massiccia a quattro arcate, sormontata da cappelle che un tempo erano adibite a posti di guardia. Augusto Monti riferisce la leggenda secondo cui i monaci lo hanno costruito utilizzando il bianco d’uovo come cemento, mentre col rosso facevano lo zabaione. Nel medioevo è stata un’importante struttura non solo di passaggio, i ponti garantivano rendita economica per via del pedaggio da pagare ed erano un importante strumento di controllo del territorio. Ha resistito per fortuna anche all’alluvione del 1994, pur restando danneggiato.
Il castello, molto evidente al centro del paese evidentemente è stato costruito là dove un tempo sorgeva l’abazia di Santa Giulia, lo dimostra il fatto che il fiume Bormida passa molto vicino al massiccio edificio e anche la sua posizione di altitudine tanto bassa, eppure questo castello è arrivato sino a noi fra i tanti fatti sorgere dai Del Carretto in Valle Bormida, alcuni oggi scomparsi. La prima notizia del maniero risale al periodo fra il 1394 e il 1405, in quegli anni la nobile famiglia decise una fortificazione del paese. L’impianto che possiamo vedere oggi è quello architettano all’inizio del XV secolo da Antonio e Galeotto Del Carretto. Ancora oggi il centro storico di Monastero Bormida conserva l’impianto urbanistico legato alla presenza del castello nella piazza inferiore. Una delle porte di ingresso all’antica cinta muraria da l’accesso attraverso un’alzata a ponte e la piazza mantiene ancora in parte l’antica pavimentazione realizzata in pietra fluviale.
Sulla facciata che si rivolge a est si può notare la sovrapposizione di strutture costruite in epoche diverse, fra cui anche una loggetta rinascimentale a due arcate, come tanti castelli del territorio anche questo ha ricevuto numerosi rimaneggiamenti nel corso dei secoli, in stile rinascimentale e con gusto barocco, ma l’impianto è rimasto sostanzialmente quello quattrocentesco.
La facciata principale propone una rielaborazione seicentesca in stile barocco, caratterizzata da due imponenti lesene. Di qui si può accedere al cortile interno che conserva ancora tracce dell’antico edificio benedettino: piccole finestre medievali a tutto sesto, punti luce che probabilmente illuminavano le celle monastiche.
La parte interna del castello oggi è visitabile le domeniche di tarda primavera e estate, nell’ambito della rassegna Castelli aperti, e propone ampie stanze di gusto barocco, con pavimenti a mosaico e soffitti a vela e a crociera; si possono visitare anche gli spazi sotterranei che ospitavano le cantine; si possono anche ammirare i resti di un mulino e il basamento di un torchio. I saloni del maniero in un prossimo futuro ospiteranno il museo cittadino.
Ma Monastero Bormida non si limita certo all’antico ponte medievale e al castello dei Del Carretto. Il centro storico, come già accennato, ha conservato l’antica impronta medievale, con la presenza di alcune case in pietra e alcuni portali tardo-medievali. Sono anche conservati alcuni resti delle mura di cinta, lungo gli orti che costeggiano la riva del Bormida e i ruderi di un canale che alimentava il mulino e che è stata la casa natale di Augusto Monti, intellettuale e scrittore di grande levatura, ricordato come il professore, poiché da insegnante al liceo classico D’Azeglio ha incontrato i personaggi più importanti della cultura della cultura novecentesca torinese e italiana in generale, basta citare Cesare Pavese, Massimo Mila, Giulio Einaudi, Leone Ginzburg, Salvatore Luna, Giancarlo Pajetta, Franco Antonicelli, Vittorio Foa, Tullio Pinelli, Piero Gobetti. Si è impegnato in prima persona per il rinnovamento della società italiana e ha collaborato con importanti riviste quali La voce, Nuovi doveri, L’unità, Rivoluzione liberale, Il Corriere della Sera. Scrive anche diversi romanzi, fra cui il suo capolavoro, I Sansossi, pubblicato con vari titoli nel corso della sua vita fino all’ultima edizione definitiva. È morto a 85 anni nel 1966.
Fra gli edifici del centro non si può dimenticare l’antica torre romanica, che è stata il campanile della prima chiesa dedicata a Santa Giulia, quella del monastero benedettino, a cui oggi si appoggia un caratteristico arco. La chiesa parrocchiale attuale è una costruzione settecentesca, sempre dedicata a Santa Giulia, con una struttura già neoclassica, le cui navate laterali e la facciata sono del primo Novecento. Inoltre sparse per il territorio comunale ci sono ben sei chiesette rurali. Fra queste si ricorda la pieve dedicata a San Desiderio, di impianto barocco, sorta al posto di un edificio molto più antico; la tradizione vuole che nella chiesetta sia stato battezzato San Guido D’Acqui, che è stato vescovo di Acqui che oggi lo venera come patrono.
Naturalmente in un territorio come questo non possono mancare prodotti enogastronomici di grande pregio, su cui immancabilmente sono state ricamate leggende di origine medievale. Uno dei prodotti più noti di Monastero è la polenta ottenuta dal granturco a otto file. È legata alla manifestazione più nota del comune, la Sagra del Polentone, che si svolge la seconda domenica di marzo ormai da secoli, dal 1573. A spigare l’evento c’è una leggenda, quella che vuole il generoso Marchese del Carretto sfamare con polenta, frittata di cipolle e salsiccia un gruppo di calderai stremati dalla fame. Questi avrebbero poi regalato al paese l’enorme paiolo di rame utilizzato oggi per la cottura della gigantesca polenta, accompagnata ancora una volta da salsiccia e frittata di cipolle. Inoltre è stata anche riscoperta la puccia , piatto unico tipico di Langa, una soffice polentina cotta in brodo di verdure insaporita da un soffritto di lardo e cipolla. Non mancano specialità a base di carne di maiale come le grive e le frizze. Infine il vino, di alta qualità come tutti quelli che nascono fra Langa e Monferrato. Qui in particolare è prodotto il Moscato D’Asti Docg, uno dei vini dolci più rinomati nel panorama italiano, e il Dolcetto D’Asti.
Passare un giorno a Monastero Bormida significa rivivere la storia medievale delle colline langarole e monferrine, riscoprendone gli antichi sapori che qui sono stati colorati da storie di grande fascino.